Luci e ombre

 

Dopo i prestigiosi riconoscimenti e le tante mostre in giro per l’Italia l’artista Nicholas Tolosa torna   a Napoli per iniziativa dell’Associazione Culturale “Accademia dei Partenopei”.

 

Il progetto espositivo si propone di offrire ai visitatori un compendio delle opere più rappresentative del talentuoso pittore campano, nato ad Eboli, ma molto attivo sul territorio nazionale e napoletano in particolare.

 

Le opere del Tolosa sono intense, drammatiche, rabbiose, incredule, sofferenti, ruvide e spigolose come i personaggi che le animano, così profondamente segnati dalla vita, dalle ingiustizie, dalle prevaricazioni e dall’indifferenza ma pur sempre dignitosi e fieri nello sguardo.

 

La sua arte è nitida e attenta a delineare gli stati d’animo dei protagonisti nei determinati contesti sociali, ambientali, politici e urbani, la scelta del bianco e nero enfatizza questa connotazione realistica o, se vogliamo, neorealistica, dei soggetti e delle ambientazioni ed esalta le potenzialità espressive dell’immagine che registra gli eventi come in una fotografia. La sua conoscenza e competenza artistica oltre che scenografica si riflette pienamente nell’impostazione tecnica e creativa delle sue composizioni in cui notiamo una forte influenza picassiana nella scelta e nella definizione dei suoi personaggi, così vicini e assimilabili al Periodo Blu del poliedrico artista spagnolo, la semplificazione delle forme, la riduzione dei volumi e lo schema geometrico rendono quasi digitalizzata l’immagine.

 

Il metodo operativo del Tolosa è essenziale ma particolareggiato, una rappresentazione scenica di forte impatto emotivo e sentita denuncia sociale verso le barbarie e le miserie del mondo, passate e presenti, vicine o lontane, basti osservare la produzione di tele ispirate al tema dell’olocausto e delle persecuzioni razziali, quelle sui deboli e gli emarginati della società, fino alla piaga della fame e delle carestie nel mondo. La trama pittorica si avvale di tecniche moderne quali l’acrilico e l’idropittura e le superfici su cui vengono impresse le immagini sono la tela, la carta o la juta, il risultato è una materia traslucida e “viva” che esprime liberamente le intenzioni e la percezione del mondo dell’artista.

 

Il tema religioso e l’amore per la sua terra – troppe volte martoriata e svilita più dagli uomini che dagli eventi – sono presenti in diverse tele, forse tra le più appassionate e dirompenti di tutta l’esposizione, talvolta celebrative, altre volte aggressive o addirittura anticonvenzionali, a testimonianza della volontà primaria di comunicare un’emozione attraverso la creazione, soffermandosi soprattutto sulle dinamiche percettive che l’individuo instaura con la realtà, una sorta di investigazione intorno alla natura umana.

 

 

 

Anche nella ritrattistica Nicholas Tolosa dimostra la sua abilità espressiva e stilistica nel tratteggiare i volti e le aspetti più emblematici dei soggetti che sceglie di rappresentare, alcuni fedelmente riproposti altri più intimamente rielaborati. Sono uomini e donne che hanno evidentemente influito sul suo pensiero e sui suoi ideali di uomo e di artista per le azioni e le scelte umane compiute o per le forti analogie stilistiche che caratterizzano le sue creazioni. La definizione dei volti è atta a comunicare un pensiero, un’emozione, è l’esigenza di mettere in luce i disagi e gli orrori del genere umano che troppe volte cerca di distogliere lo sguardo dalla realtà per non sentire dolore anestetizzando la propria coscienza umana e sociale, e lui stesso diventa parte di questi uomini, di questo tempo, diventando portavoce di uno stato d’animo e di un malessere latente.

 

Gli occhi, lo sguardo sempre puntato verso l’osservatore quasi a voler creare empatia con chi guarda sono sicuramente il carattere distintivo dei suoi personaggi che non nascondono nulla e si lasciano attraversare nell’anima, perché è senz’altro vero che dagli occhi e da uno sguardo si può comprendere tutto e nulla può essere celato. Ecco però che, per “contrapposizione scenica” il Tolosa sceglie in alcuni casi di dare spazio all’integrazione di maschere, un abile artificio di cui costantemente gli uomini approfittano per dare voce al linguaggio quotidiano della vita.

 

La maschera ci appare come un’arma di difesa, una fuga dalla realtà e un adeguamento alle convenzioni sociali che ci impongono di interpretare un ruolo ben stabilito fatto di falsità e ipocrisia, per questo le maschere non mostrano gli occhi, il volto è nascosto, la verità è celata e risiede dietro di essa. Siamo di fronte a quello che Luigi Pirandello definiva, nel romanzo Uno, nessuno e centomila ,”relativismo conoscitivo”: L’uomo non può capire né gli altri né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando – consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente – una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.

 

Nella serie di maschere africane emerge la forte valenza iconografica dell’oggetto rappresentato che viene riproposto nella sua tipica forma allungata, fortemente stilizzata e con gli occhi chiusi, come da consuetudine in tale cultura, oggetti che, pur nella loro estrema semplicità, manifestano una evidente potenza espressiva oltre che simbolica e spirituale. Per tradizione queste maschere non costituivano infatti un mero oggetto artistico ma erano strumenti rituali utilizzati per accompagnare danze e rappresentazioni cerimoniali, chi le indossava abbandonava la propria identità e accoglieva quella dello spirito che in esse era custodito e rappresentato. Questi riferimenti all’“arte nera” e all’uso delle maschere abbondano nella letteratura, nella cinematografia e in particolar modo nell’arte, Nicholas Tolosa infatti persegue un filone stilistico iniziato già nel XIX sec. con Matisse, Braque, Derain, e poi con Picasso, Klee, Ernst, Kirchner, Pechstein, Modigliani, Brancusi, Giacometti e molti altri che ritrovavano nell’ essenzialità primitiva di quest’arte una grande fonte di ispirazione e originalità creativa.

 

Tali maschere sono gli strumenti utilizzati dall’artista per entrare nella dimensione più intima e caratteristica di questi popoli così lontani eppure così vicini a noi e alla nostra quotidianità. Traspare la volontà di coinvolgere e proiettare lo spettatore su un piano fortemente colloquiale e di relazione con un’etnia oramai profondamente radicata nel nostro paese ma ancora troppo spesso emarginata e bistrattata per paura o inadeguatezza politica e sociale.

 

Queste opere rappresentano un’esperienza di bellezza e essenzialità plastica, una mescolanza tra creatività e tradizione, la volontà di estrapolare e mettere in luce quanto di più magnetico e suggestivo si nasconda dietro ad una cultura pregna di significati simbolici, artistici e creativi e al tempo stesso diventano il mezzo artistico utilizzato dal Tolosa per avvicinare la cultura occidentale con quella africana attraverso l’immedesimazione e la comprensione non solo estetica ma soprattutto etica e antropologica.  

 

Siamo costantemente abituati a trattare e a confrontarci con le tematiche sull’ Immigrazione e sull’ Integrazione ma quanto riusciamo a viverle veramente, a compenetrarci fino in fondo con realtà e culture che ci appaiono “diverse”, a capire che voltarci dall’altra parte non servirà ad arrestare un fenomeno che fa parte del vivere umano ed è conseguenza di malesseri e contingenze molto spesso incontrollabili e inarrestabili e che soltanto con la condivisione e l’unione tra i popoli può essere appianata e convogliata verso nuovi orizzonti di solidarietà e civiltà.         

 

La mostra del Tolosa, dunque, non rappresenta esclusivamente una manifestazione di stile e di bellezza, di forte potenza comunicativa ed espressiva, come del resto l’opera d’arte dovrebbe essere, ma è anche un grande opportunità di riflessione e consapevolezza sulle le infinite sfaccettature dell’animo umano costantemente in bilico tra giusto e sbagliato, tra ribellione e assuefazione.