Arte come missione storica

“La funzione dell’artista non è di educare la società ed assecondarne il regolare progresso, ma di prendere partito nelle contraddizioni e nei conflitti che si generano all’interno di essa e ne mettono in pericolo l’esistenza o il destino. Quella dell’artista, non è una normale funzione, ma una straordinaria missione storica; e il suo dovere non è di preservare l’arte dai pericoli di una cronaca agitata, ma di gettarla nella mischia, dato che nella mischia è in gioco, anche la sopravvivenza.”

 

Così il critico Giulio Carlo Argan commenta la figura dell’artista Pablo Picasso in relazione alla realizzazione della celeberrima Guernica. Picasso definiva l’artista come “un essere politico costantemente vigile davanti ai laceranti, ardenti o dolci accadimenti del mondo” ed infatti Guernica, ancor prima di essere uno dei più importanti capolavori del genio picassiano, è da vedersi come strumento di denuncia di una specifica situazione storica. Fortemente colpito ed indignato dall’evento della distruzione della città basca - il primo bombardamento civile della storia - Picasso volle sfruttare la fama del suo nome e la grande occasione di poter partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1937, per gridare al mondo intero la tragedia che colpì la Spagna. Ispirandosi alle fotografie in bianco e nero dei quotidiani parigini, da cui apprese la notizia del bombardamento, ne ricopiò i racconti traslandoli sulla tela attraverso il suo stile inconfondibile di derivazione cubista e riassumendoli in un’unica grande immagine di 3,5x8m che sconvolse il mondo intero. Guernica divenne un monito per tutti gli artisti del periodo post bellico ad impegnarsi prontamente nella vita civile e politica delle loro terre. Per questo “Guernica non rappresenta un fatto storico, ma è un fatto storico” - come aggiunge Argan – perché l’arte non coincide più con una rappresentazione più o meno lodevole o più o meno originale, cessa di essere un qualcosa di gradevolmente estetico da ammirarsi passivamente in una struttura espositiva. L’arte, piuttosto, diviene uno strumento attivo, un medium di comunicazione che vuole fuoriuscire dalle mura di un museo per raggiungere quanti più luoghi possibili. L’arte diviene la voce che urla quegli episodi taciuti al resto del mondo, diviene uno strumento di sensibilizzazione dell’umanità rispetto ai drammi del suo tempo. L’arte, insomma, diviene un “fatto storico”, poiché accadendo, tenta di cambiare positivamente le sorti dell’umanità e dunque il corso della storia.

 

I quadri di Tolosa sono, come Guernica, più che semplici opere d’arte. Sono strumenti di denuncia dei mali del mondo a noi vicini e lontani nel tempo e nello spazio, che imponendosi come “fatti storici” mirano a cambiare il corso degli eventi in maniera positiva. I temi trattati spaziano dall’orrore passato dell’Olocausto (Essere un numero, Nelle mani il nulla, Treblinka ed Ultimo istante), alla povertà estrema ed ingiusta vissuta ancor oggi nel continente africano (Lacrime Nere, Mamma Africa). Ogni opera illustra un protagonista differente per genere, età, provenienza, periodo storico, ma tutti sono vittime di una situazione di disagio. Nel quadro intitolato Incontro al destino vi è un lungo corteo di uomini, nel quale si ritrovano i personaggi tipici delle opere tolosiane. A ben vedere, i protagonisti, condividono esclusivamente un’unica direzione di marcia – “Incontro al destino”. Ogni personaggio, come si può intuire dalla differenziazione dei tratti somatici e dagli abiti indossati, è testimone di una diversa condizione sociale e storica. L’uomo dalla pelle scura, in prima fila sulla sinistra, indossa una maglia da calcio con il numero dieci stampato sul taschino. Forse è appena fuggito da quell’Africa troppo povera e tormentata per potervi immaginare un futuro degno di tale nome. Dietro di lui un altro uomo, dai tratti più tipicamente medio-orientali, indossa un singolare copricapo, il peso dello zaino grava sulla sua schiena, così come il peso dei pensieri appesantisce il capo sino a chinarlo, oscurandone lo sguardo. Anch’egli potrebbe essere fuggito da un paese in guerra per approdare su una più felice costa del bacino Mediterraneo. Tra gli altri protagonisti alcuni indossano divise da soldato. Questi ultimi viaggiano verso il fronte di una guerra odierna o forse passata: un partigiano eroe, un nazista carnefice o forse un giovane soldato americano. Ognuno va incontro al proprio destino, volontariamente o costretto dalle circostanze del suo tempo. La fila interminabile di uomini, taglia diagonalmente il quadro e sembra proseguire oltre lo spazio della tela. Se si immaginasse la diagonale da essi percorsa come un segmento non solo spaziale, ma anche temporale, il quadro ritaglierebbe il momento del loro presente e la chiara prosecuzione del corteo oltre i limiti del quadro simboleggerebbe il loro passato ed il loro futuro. I soldati si dirigono verso il fronte dell’ennesima guerra – guerra che contemporaneamente rappresenta anche il passato da cui quegli emigranti fuggono. Nei pesanti zaini, nei taschini delle giacche, nei loro portafogli sgualciti dal tempo e nelle loro menti, questi uomini conservano le immagini delle famiglie e degli affetti lasciati nel caos della loro terra natia. Le loro mogli ed i loro figli potrebbero essere quelli rappresentati in Non guardare, Quale futuro, Mamma Africa, Lacrime nere, Povertà o ancora i protagonisti di episodi disumani quali Ultimo istante o Nella mani nulla. Ogni quadro corrisponde sia al passato del migrante, sia al futuro del soldato: passato e futuro condividono lo scenario bellico.

 

La tematica del disagio è il file rouge dell’intero corpus delle opere tolosiane, caratterizzate da uno stile bicromatico e sintetico. La scelta del bianco e nero potrebbe spiegarsi con il fatto che le opere di Tolosa puntino a tramutarsi in documenti oggettivi di fatti reali – fotografie. Negli anni ’30 la fotografia a colori era appena stata inventata, dunque la conseguenza di un rimando fotografico da parte della pittura, altro non avrebbe potuto partorire che una tela in bianco e nero . Si potrebbe obiettare che nell’era moderna, di cui Tolosa è figlio, le fotografie di cronaca sogliono essere a colori, mentre la fotografia in bianco e nero è per lo più divenuta un vezzo artistico. Se dunque il quadro tolosiano vuole divenire, al pari dell’immagine di cronaca, un mezzo di denuncia dei misfatti del mondo, perché mai si opta per la bicromia del bianco e del nero? Perché l’immagine in bianco e nero è percepita come immagine della memoria:

 

“Si dice che il b/n sappia di memoria. Infatti la fotografia bianco/nero o monocroma rimanda immediatamente all’idea e alla dimensione storica del passato perché priva la realtà del suo colore e quindi del tono più efficace dell’esistenza”

 

Il bianco e nero di cui l’immagine si veste porta istintivamente a pensare che il soggetto inquadrato sia lontano nel tempo. La scelta b/n, nei quadri di Tolosa, è dunque simbolica. Sottilmente ed implicitamente denuncia il fruire passivo dell’uomo occidentale di fronte le immagini di guerra e povertà proveniente da un mondo coevo ma percepito come troppo distante per poter essere cambiato. Metaforicamente la realtà dei soggetti tolosiani viene vista in bianco e nero, lontana dal tempo e dallo spazio del nostro hic et nunc. Il bianco e nero è l’alibi – la lontananza – dietro cui ci nascondiamo, rinunciando ad essere parte attiva degli avvenimenti storici, ignorando “la missione storica arganiana”.

 

Le opere bicromatiche sono caratterizzate da una piatta cromaticità grafica: non vi sono chiaroscuri che imitino il naturale sfumare dalle zone di ombra alle zone di luce, ma diverse tonalità di grigio che si giustappongono tra loro come fossero blocchi compatti di colore, mattoni cromatici che costruiscono la possenza delle figure. Le linee di contorno, soprattutto in quadri come Nelle mani nulla o Povertà, si fanno spesse ed evidenti. Divengono recinto che chiude l’essere umano in sé stesso, privandolo della capacità di comunicazione con il mondo esterno. Nei primi piani invece si fanno più sottili, meno marcate, quasi come a simboleggiare che una visione più ravvicinata del soggetto, corrisponda ad un possibile tentativo di dialogo con il fruitore e dunque alla possibile fuoriuscita da quel recinto di solitudine.

 

Lo stile tolosiano è frutto di un processo che mira ad eliminare dalla tela ogni elemento di distrazione, ogni vezzo artistico. In queste superfici monocrome, in cui le diverse tonalità di grigio vengono ammaestrate da un evidente linearismo sintetico, non vi è spazio per perdersi nella bellezza dei colori, né tempo per rimanere incantati dal mimetismo delle forme: non ci si può distrarre apprezzando la lucentezza della pelle d’ebano del giovane di Lacrime nere o il rossore delle gote delle donne di Povertà infreddolite dal gelo della loro dimora a cielo aperto. L’arte si spoglia dei suoi ornamenti di beltà, prima denudandosi delle accattivanti vesti colorate che ne cingono il corpo e poi del trucco che perfeziona i tratti del suo volto. Le immagini vengono ridotte ai loro minimi termini, così che ciò su cui si può riflettere è esclusivamente il fatto di cui il quadro è portavoce. È così che anche le opere tolosiane non rappresentano, ma sono fatti storici: denunciando l’ingiustizia e dunque sensibilizzando il fruitore, sperano di poter cambiare il corso degli eventi, anelando utopicamente ad un mondo migliore.

 

Le numerose opere dedicate al tema della Shoah, seppur con altre dinamiche, partecipano alla “missione storica”. Esse realizzano l’unico desiderio e raccolgono l’unico invito dei sopravvissuti ai campi di concentramento: ricordare, per non dimenticare, per far in modo che una tragedia simile non si ripeta mai più nella storia. Queste opere non possono cambiare il passato di ciò che fu, ma possono far in modo che mai più si ripeta. In Treblinka un uomo si sporge dal treno che di lì a pochi istanti giungerà, come suggerito dal cartello, a destinazione. Delle strutture del campo di concentramento, al di là del cartello, rimangono solo brevi segmenti verticali di colore nero. L’ombra dell’uomo si riflette sullo sfondo. Sproporzionata ed inquietante, come quella della Pubertà di Munch, sembra proiettare le angosce della persona a cui appartiene. Od ancora potrebbe essere immagine del suo futuro: una nuvola di fumo grigio proveniente da uno dei comignoli delle camere a gas. In Essere un numero si riassume in un'unica immagine l’abominio partorito dalla mente nazista. Ciò di cui vennero privati circa 15 milioni di uomini ancor prima dei loro averi, dei loro affetti, della loro dignità fu il loro nome - la loro identità. Quel numero, tatuato sulla pelle ed esibito sulle divise, era l’unico elemento distintivo di ciò che rimaneva di quegli esseri umani ormai ridotti a scheletri tutti uguali. In Ultimo istante la figura di quel che rimane di un uomo si pone nel centro della tela attraversandola verticalmente e formando la sagoma di una mandorla, chiusa alle estremità dal costretto congiungersi delle mani e dei piedi. La divisa a righe verticalizza la figura ed aprendosi lascia intravedere il busto dell’uomo avente il medesimo colore dello sfondo del quadro: la sua anima, violentata e torturata, è ormai inesistente, tanto che si arriva a poter vedere attraverso di essa. Dentro di egli non rimane più nulla, regna il vuoto. La sua figura è un taglio esercitato sulla tela, come nelle Attese Spaziali del Fontana. Attraverso il gesto deciso agito sull’opera con un coltello, i quadri di Fontana, riuscivano a rimettere in comunicazione il mondo dell’arte con quello del fruitore. Allo stesso modo Tolosa agisce sulla tela con immagini chiare, decise e spera attraverso di esse di rimettere in comunicazione il mondo dei soggetti delle sue opere con quello del fruitore. Con la sua pittura spera di poter squarciare quella tenda monocroma attraverso la quale si fa esperienza della realtà del disagio, per poter finalmente rivedere quel mondo a colori e dunque nella sua esistenza e contemporaneità.

 

A fianco alle scene di guerra, povertà e sopruso ritroviamo anche il ritratto del pittore Teofilo Patini. L’opera di Tolosa si ispira all’autoritratto dell’artista: lo priva del colore e ne enfatizza l’elemento linearistico. Appare chiaro il rimando ai ritratti di matrice picassiana: geometrizzazione del volto, grandi occhi incastonati da profonde iridi che si confondono con le pupille, sopracciglia semplificate in elementi lineari, profilo nasale descritto da una grande “L”, labbra riassunte nel disegno di una mandorla divisa per mezzo di un segmento longitudinale. Il pittore Teofilo Patini operò nella seconda metà del XIX secolo, realizzando numerosi quadri aventi come soggetto situazioni di disagio sia del suo tempo che di epoche storiche a lui precedenti . I suoi quadri più famosi affrontano diversi aspetti del disagio dell’Italia rurale della post-unificazione: l’estenuante lavoro nei campi, le disumane condizioni di lavoro, la povertà delle case, la mancanza di sussidio medico, le morti premature dei giovani contadini e il conseguente problema degli orfani. Unendo la sua arte al suo impegno politico, Patini, riuscirà a sollevare importanti questioni che porteranno ad esempio alla creazione di “Camere del Lavoro” (odierni sindacati), nonché all’organizzazioni di programmi di sussidio medico per i lavoratori ed economico per le famiglie orfane . Anche i quadri di Patini sono dunque fatti storici, perché riuscirono a cambiare positivamente il corso della storia del suo tempo. Il ritratto di Teofilo Patini si inserisce nelle opere del Tolosa come esempio da ammirare ed a cui ispirarsi.

 

Stesso discorso vale per il ritratto di Giancarlo Siani, rifacentesi ad una di quelle fotografie che apparse sui giornali del tempo a seguito dell’omicidio del giovane giornalista. Lo stile sintetico ricalca lo stile dei ritratti serigrafici di Andy Warhol, ovviamente privati dell’elemento seducente ed espressionistico del colore. Al contrario del ritratto di Teofilo Patini, in quello dedicato a Giancarlo Siani, prevale prepotentemente il colore bianco. Bianco come le pagine dei suoi appunti o dei fogli di giornale prima che venissero solcate dall’inchiostro del coraggio dei suoi pensieri. Siani, impugnando la penna in loco del pennello, utilizzò il foglio di giornale come fosse tela bianca, per denunciare il tumore della camorra nell’organismo del territorio napoletano. Le sue inchieste volevano approfondire e mettere in luce i rapporti fra la criminalità organizzata ed il mondo della politica. Purtroppo, la sua “missione storica”, venne brutalmente interrotta il 23 settembre del 1985: Siani fu il primo giornalista vittima della camorra, brutalmente ucciso all’età di soli 26 anni.

 

Siani, insieme ai più noti Falcone, Borsellino e Peppino Impastato è esempio di quelle persone che in nome della verità e della giustizia, si ribellarono alle infime regole dell’omertà, pagando il caro prezzo della morte. Immagine per eccellenza dell’uomo che sacrifica sé stesso per il bene della propria comunità è quella del Cristo. In Dormi ritroviamo un primo piano dell’opera di Giuseppe Sanmartino Cristo velato (Cappella San Severo di Napoli, 1753). Il velo che ricopre il volto di Gesù è così realistico che si pensò addirittura che lo scultore si fosse avvalso di un artificio alchemico per la sua realizzazione, riuscendo a trasformare il marmo duro e freddo del blocco scultoreo, in soffice seta trasparente. Al di sotto di esso il corpo del Cristo si prepara alla Resurrezione, convertendo la pesantezza del suo corpo in anima leggera. In Dormi la morbidezza del velo, viene tradotta in una rete di corde tese e rigide, che più che accarezzare il corpo del Cristo, sembrano volerlo bloccare, dissuadendole dall’idea di una imminente resurrezione. Il titolo del quadro – Dormi – vuole essere un suggerimento sussurrato all’orecchio del Figlio di Dio. È meglio che non si sporga ancora oltre le mura del sepolcro. Lì fuori, oggi, c’è troppa ingiustizia nell’umanità perché il suo sacrificio non possa essere reputato vano.

 

Ed in ultimo, l’immagine della speranza: Nuova vita. Finalmente arriva un sorriso a solcare il volto sereno di quell’infermiera intenta ad allattare un neonato. Nel quadro di Patini intitolato L’erede (1882) trovano luogo tre figure: il corpo senza vita di un eroe contadino, la donna disperata che lo piange ed il loro figlio appena nato - “l’erede di sofferenze, fatiche e dolori, ma che in sé contiene il germe delle future conquiste sociali” . Il neonato del quadro di Patini, diviene in Nuova vita l’erede del frutto positivo di quella missione storica a cui aspirano i quadri di Tolosa.