Cosa mi rende umano?

Umanità dell’uomo, dove si trova l’aspetto fondamentale che rende umano l’uomo? Dove sta quest’uomo? Un uomo con la U maiuscola.
L’umano è qualcosa che dovrebbe appartenere a tutti noi e che dobbiamo invece cercare, ritrovare e dopo custodire.
In un’analisi progettuale nella molteplicità del lavoro di Nicholas Tolosa è lì che ritroviamo la nostra capacità di guardare a quell’umanità che ci dovrebbe appartenere. È lì che ci possiamo riconoscere perché ci fermiamo a guardare l’altro e, di conseguenza, noi stessi.
L’arte dell’artista napoletano cerca di trovare un accordo tra l’universale e il particolare; cerca l’idea e una certa materialità dell’uomo attraverso la concretezza, la tangibilità in cui si mostra l’umanità. L’arte si differenzia quindi da un puro approccio filosofico. La filosofia può anche partire da questioni meramente pratiche ma può attestarsi sulla metafisicità, non trovando un solo esempio con la contemporaneità, il passato o anche il futuro. La filosofia in un trattato sull’uomo può dire tutto quello che possiamo immaginare sull’uomo ma non dire di lui concretamente. L’arte oggi deve muoversi dal reale perché lo abbiamo perso di vista. L’arte arriva da una forma di generalità di tipo ideale e definitorio ma poi deve tornare nel reale. Non può permettersi di rimanere a un mero livello di generalizzazione dell’umano, lo deve trovare nello specifico e nella sua categorizzazione più importante: la sua umanità.
Una generalizzazione che non riusciamo a trovare perché viviamo una realtà che è in continuo movimento.
Non siamo più di fronte a società statiche, come nel passato, ci moviamo e dobbiamo guardare questo movimento verso quale direzione si sta evolvendo, questo per capire e per capirci. La società contemporanea non ha caratteristiche di semplificazione identitarie e di esemplificazione, non ha forme di identificazione: siamo immersi in una società diveniente. Christoph Türcke, appunto parla di società eccitata*: è in questa società elettrica che non si riesce più a vedere un oggetto stabile e non si riesce a osservarlo e quindi non si può più risultare oggettivi, ma solo relativi, limitatamente al nostro singolo movimento.
Invece, se l’arte ci ferma, ci costringe ci dà la possibilità di guardare e di guardarci.
Il risultato non può e non deve essere sempre invariabile, non deve avere un valore che sia lo stesso tra oggi e domani, ma può farci capire e andare oltre a quello che mi fa correre per il resto del tempo. Un avanzamento che non dipende da un movimento ma da una stasi, da una riflessione, da un immobilismo che si ritrova in un’immagine: quella su un muro.


* Christoph Türcke, La società eccitata. Filosofia della sensazione, Bollati Boringhieri, 2012.

In