Esistiamo nel mondo del paradosso, della non appartenenza, dell’indecifrabilità. All’interno della forbice cartesiana tra la rexextensa (il corpo) e la rexcogitans (la mente) abbiamo smarrito la strada col risultato di guardarci intorno in modo paranoico, ossessionati da mari di immagini che soffocano l’immaginario.

Da tutto questo caos nascerà una stella danzante? Non è, poi, così importante. Quello che conta, nel progetto artistico di Nicholas Tolosa è il rinsediamento di senso, quella restituzione alla visione estetica popolare del profondo significato che noi attribuiamo all’arte. Tolosa legge perfettamente le commistioni sociali che portano la città di Napoli ad essere il ponte ideale fra il Mediterraneo e l’Africa profonda. Le maschere africane, già cariche di un simbolismo ancestrale diventano assioma su cui sovrapporre la visione del popolo della città ed il luogo per definizione, in cui rappresentare l’incontro, l’inclusione non può che essere la strada, gli edifici abbandonati della Sanità, di Forcella, di Scampia, dei Quartieri perché è lì che diventa reale. La maschera che rappresenta Osimhen, va oltre oltre le tensioni emozionali facendo diventare il rapporto privilegiato che il popolo ha con il calcio il luogo in cui le tensioni e le passioni comuni vivono, senza soluzione di continuità, fra il soggetto e l’oggetto dell’opera. Napoli vive di simboli, di sacralità, quella che sostanzia nel rito antropologico della partita. Nella realtà delle cose diventa un rituale condiviso, una fratellanza universale in cui tutti sono parte, sia che tu sia nato nei Quartieri Spagnoli che a Dakar, al Pallonetto come a Laos, a Fuorigrotta come a Marrakech. La strada in cui è posizionata la maschera simulacro di Victor Osimhen vive proprio nell’abbattimento della distanza fra chi vede un’opera d’arte e chi la stessa la realizza (e quindi l’opera nella sua percezione diretta) ed è quasi a metà fra la concezione dell’arte visuale ed il teatronella sua intrinseca rappresentazione. Come per l’origine del rituale rappresentativo grecoTolosa sovrappone la narrazione alla percezione riunendo, nella stessa opera, due cose che normalmente sono destinate a prendere strade diverse. Ma la maschera “celebra”, ridefinisce i colori della passione, del gioco come parte dell’anima della città, del calcio come della cabala e della magia che da Napoli scende giù fino al deserto del Kalahari. Le tre strisce di colore giallo che rappresentano il numero sacro, il tre, come gli scudetti del Napoli, la maschera come quella che copre il volto del giocatore nigeriano quando è in campo. E’ il meltingpot dell’anima partenopea, il tessuto elastico di cui sono fatte le entropiche linee cablate che rappresentano i nervi scoperti della città.  E, se è vero che, nel nostro randagismo tendiamo ad occupare gli spazi vuoti della città, per Nicholas Tolosal’opera/maschera non è più definibile come terminale dell’arte ma è medium della funzione sociale dell’estetica. Nella restituzione all’individuo della poetica artistica Tolosa è scomodo elemento di raccordo tra il nulla in cui si nasconde la creazione ed il pieno soggettivo dell’interno dell’essere umano.